Srebrenica e Jasenovac: la genuina differenza tra un genocidio falso e uno vero

Le Foibe, Sebrenica…Una realtà via l’altra costruite sulle bugie. Un potere forte perché “autorizzato” dal consenso, che si basa solo dall’aver ben inculcato menzogne plateali nella massa teledipendente. Quando tutto crollerà vi troverete a ristudiare la storia. Il Golfo del Tonchino con gli attacchi mai avvenuti, le truppe irakene che non hanno mai gettato a terra neonati presi dalle culle, il finto massacro di Piazza Tienanmen, l’antrace, le Torri Gemelle e tutte le produzioni di fictions che avete preso per realtà. L’hanno gestita  gli stessi creatori del Colonialismo Culturale dal dopoguerra, Hollywood… volevate la luna? Ve l’hanno data…

Lito 

di Stephen Karganovic

La nostra indagine su Srebrenica indica alcune intuizioni molto importanti riguardanti Jasenovac. Jasenovac, per coloro che non hanno familiarità, fu un campo di sterminio nello “Stato Indipendente di Croazia”, satellite dei Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, noto anche come “Auschwitz dei Balcani”. Qual è il collegamento?

È che mentre il massacro di Srebrenica, derivato dal conflitto avvenuto nella ex Jugoslavia negli anni ‘90, era stato progettato principalmente per scopi politici, ebbe anche un’altra conseguenza estremamente importante. Ciò avrebbe distolto l’attenzione dal genocidio di Jasenovac, subito dalle popolazioni serba, ebraica e rom intrappolate durante la Seconda Guerra Mondiale nello “Stato Indipendente di Croazia”. Uno degli impatti principali di Srebrenica fu diminuire la grandezza e l’orrore di Jasenovac, imputando ai serbi un crimine inventato di proporzioni genocide, presumibilmente commesso da loro durante la guerra in Bosnia.

Ora, se si cerca un analogo di Jasenovac con immagine speculare per l’iniquo uso di Srebrenica che è stato appena menzionato, eccolo qui. Jasenovac, e più in generale le folli atrocità commesse dagli Ustascia croati durante la Seconda Guerra Mondiale, furono un fattore chiave nel cambiamento, altrimenti inesplicabile, di Londra dal sostenere il loro fedele alleato Generale Mihailović ad insediare l’agente internazionalista Josip Broz Tito, una persona di origine oscura e con alleanze ugualmente oscure, come governante postbellico della Jugoslavia. Gli inglesi, e l’alleanza occidentale nel suo insieme, necessitavano dell’influenza di massa della Chiesa Cattolica Romana per la prevista mobilitazione postbellica contro la sinistra, e in particolare contro la minaccia percepita dell’Unione Sovietica vittoriosa e rafforzata. Una Chiesa Cattolica Romana non contaminata dall’associazione con il fascismo e dalle atrocità genocide commesse dai suoi seguaci nel cuore dell’Europa, era una conditio sine qua non per quell’operazione. La vittoria di Mihailović avrebbe sicuramente portato all’esposizione di questo nefasto collegamento e all’immediato screditamento del Vaticano, su una scala che avrebbe sminuito gli attuali scandali e l’avrebbe reso inutile come autorità morale nella progettata crociata contro il Comunismo. Il patriota Mihailović dovette quindi essere gettato via e il camaleontico ideologico Tito elevato al suo posto. Si potrebbe tranquillamente supporre che sotto il dominio di Tito, Jasenovac e tutte le sue implicazioni sarebbero state spazzate sotto il tappeto, che è esattamente quello che è successo.

Srebrenica è stata aggressivamente promossa come un meme che suggerisce la colpevolezza serba per aver commesso il genocidio, sebbene le circostanze concrete di questo evento, che la nostra ONG ha accuratamente studiato e stabilito, lo smentiscano inequivocabilmente.

D’altra parte, mentre Jasenovac soddisfa pienamente i criteri della Convenzione sul Genocidio, quell’evento viene sistematicamente sottovalutato, in modo tale da sopprimerne la conoscenza e il rispetto per le centinaia di migliaia delle sue vittime.

Quella che segue è una breve analisi comparativa di questi due eventi, al fine di dimostrare come una narrativa fuorviante su un genocidio politicamente inventato abbia oscurato un genuino genocidio, e in gran parte impedito il giusto rispetto per le sue vittime.

Srebrenica si adatta perfettamente allo schema contemporaneo delle operazioni sotto falsa bandiera, in cui l’attore che commette effettivamente il crimine sposta abilmente la responsabilità sul capro espiatorio designato. Il ruolo di quest’ultimo è quello di prendersi la colpa, viene sottoposto a una brutale campagna di denigrazione, e alla fine si prende la punizione politica e morale assegnata. Sembra familiare, vero?

Fino ad oggi non abbiamo un bilancio delle vittime di Srebrenica ufficiale e affidabile. Come ha sottolineato il giudice Jean-Claude Antonetti nel suo parere dissenziente nel caso Tolimir, dopo più di venti anni di “indagini” il Tribunale dell’Aia non ha idea di chi abbia concepito e ordinato il crimine.

Srebrenica è tormentata da incertezze e offuscamenti intenzionali. Gli unici elementi nella discutibile narrativa di Srebrenica che si dice siano certezze indiscutibili sono i due meme “genocidio” e “8000 uomini e ragazzi giustiziati”. Una potente macchina di propaganda di interessi speciali li ha iniettati con abilità e perfidia nel subconscio di massa.

Il meccanismo è guidato da tre obiettivi politici fondamentali. Questo programma è dietro la messa in scena delle uccisioni di Srebrenica, e quindi utilizza i loro effetti di propaganda per scopi basilari. Il primo obiettivo era quello di creare un caso di assassinio di massa sufficientemente gonfiabile e statisticamente elastico, apparentemente attribuibile ai serbi, nel luglio del 1995. Era la vigilia dell’Operazione Tempesta, che doveva essere eseguita nella Krajina nell’agosto del 1995, usando la logistica della NATO e le forze di terra croate. Come Peter Galbraith, all’epoca ambasciatore statunitense a Zagabria, ammise liberamente nel 2012, “senza Srebrenica non ci sarebbe stata nessuna Operazione Tempesta”. Ciò suggerisce fortemente, come minimo, che il primo sia stato concepito e realizzato per fornire copertura a quest’ultima.

Un altro importante ruolo secondario di Srebrenica è stato quello di servire come costrutto simbolico, uno strumento identitario per costruire una nazione e cementare l’etnia Musulmana bosniaca. Il terzo e forse il più importante degli usi di Srebrenica – come direbbe Diana Johnstone – è quello di fungere da base per la letale dottrina interventista del “Diritto alla Protezione”. Si suppone che sia stato ideato per garantire che non ci sarebbero state “altre Srebrenica”.

Tuttavia, in pratica questa dottrina predatoria ha portato alla distruzione spietata di diversi paesi indifesi e alla perdita violenta finora di almeno due milioni di vite innocenti, per lo più musulmane. Il Diritto alla Protezione è stato progettato per garantire un controllo globale egemonico, non per prevenire massacri in stile Srebrenica.

Quella che segue è una rapida panoramica dei fatti di Srebrenica, prima di tornare a Jasenovac. La narrazione di Srebrenica è piena di evidenti anomalie, che sono state in gran parte non affrontate e non esaminate in modo critico.

1. L’11 luglio 1995, Srebrenica passò sotto il controllo dell’Esercito della Repubblica Serba. C’era anche il battaglione olandese, ma non fece nulla, agendo principalmente in veste di osservatore.

2. Dopo aver preso il controllo di Srebrenica, l’esercito serbo evacuò nel territorio tenuto dai musulmani circa 20.000 musulmani di Srebrenica – donne, bambini e anziani – che si erano radunati presso la base delle Nazioni Unite a Potočari. Era presente la Croce Rossa Internazionale.

3. Contemporaneamente, uomini in età militare, soldati della 28a Divisione dell’Esercito Musulmano bosniaco, tra i 12.000 e 15.000, ben armati e in combattimento fino al giorno prima, perdono improvvisamente e inspiegabilmente la volontà di combattere. Invece di schierare una difesa attiva in una situazione in cui avevano un vantaggio numerico di 3 a 1 rispetto agli attaccanti serbi, e dove la configurazione accidentata del terreno li favoriva chiaramente, conducono una rischiosa manovra di forzatura dall’enclave di Srebrenica verso Tuzla, sull’altro lato della prima linea. Il corridoio che dovevano attraversare in territorio serbo, lungo 60 chilometri, era stato in precedenza pesantemente minato, e la colonna in ritirata incontrò anche numerose imboscate organizzate dall’esercito serbo. La 28a Divisione subì le sue perdite più ingenti a seguito del combattimento con la Brigata Zvornik dell’Esercito della Repubblica Serba, lasciando tra i 4.000 e i 5.000 morti. Tuttavia, la colonna della 28a Divisione era un obiettivo militare legittimo, come ammesso dalla Procura del Tribunale dell’Aja, e quindi nessuno è mai stato accusato o condannato dal Tribunale per aver causato vittime. Alla fine, parte dei soldati appartenenti alla colonna in ritirata fu uccisa in combattimento, parte raggiunse le linee musulmane a Tuzla, e parte si arrese. È importante sottolineare che i resti della maggior parte delle “vittime del genocidio” sono state trovate in prossimità di siti in cui si sono verificati scontri tra la colonna musulmana e le forze serbe.

4. Tra coloro che sono stati fatti prigionieri, alcuni sono stati trasferiti in campi di prigionia e alcuni, a quanto pare sfortunatamente, sono stati giustiziati. Un ruolo di primo piano nelle esecuzioni è stato svolto dal misterioso 10° Distaccamento Sabotatori, una strana unità multinazionale all’interno dell’Esercito della Repubblica Serba nel bel mezzo di un conflitto etnico, istituita nel 1994 senza scopo apparente e senza una posizione fissa all’interno dell’ordine di battaglia dell’Esercito della Repubblica Serba. L’unica operazione significativa del distaccamento è risultata essere precisamente l’esecuzione dei prigionieri di Srebrenica nel luglio 1995.

Il famoso “testimone chiave” Dražen Erdemović, condottiero di etnia croata che combatté in tutti e tre gli eserciti durante il conflitto bosniaco, e che alla fine divenne l’unico al tribunale dell’Aja a testimoniare le esecuzioni, dopo aver fatto un conveniente patteggiamento con l’accusa, era un membro di quell’unità.

Ciò che rende eccezionale Erdemović è che è allo stesso tempo l’unico testimone del tribunale e anche un colpevole reo confesso del genocidio.

È anche il beneficiario di una pena detentiva di 3 anni straordinariamente mite per un crimine così grave.

Come smentito nei dettagli dall’analista bulgaro Germinal Civikov, Erdemović ha testimoniato in modo contraddittorio e poco convincente che, per cinque ore, lui e altri sette colleghi del distaccamento giustiziarono 1200 prigionieri (non poteva indicare nemmeno il numero approssimativo di autobus) in un campo vicino ad un posto chiamato Branjevo. Secondo lui, spararono ai prigionieri in gruppi di 10, il che fa 120 gruppi, e dato il periodo di tempo da lui riferito fa un improbabile 2,5 minuti per gruppo. Durante quel periodo, i prigionieri furono portati ad una distanza di 100-200 metri dai veicoli al campo dell’esecuzione, perquisiti, e i loro documenti personali e oggetti di valore furono rimossi, furono eseguite le esecuzioni, e infine le vittime furono controllate in cerca di sopravvissuti, a cui venne somministrato il colpo di grazia, prima di passare al gruppo successivo. Tutto ciò in 2,5 minuti.

Secondo Civikov questo è uno scenario altamente improbabile, ma il Tribunale dell’Aja non ha sollevato problemi, e questo scenario è incorporato in tutte le sue sentenze su Srebrenica.

Una stranezza di questa storia è che gli esperti forensi del tribunale, che nel 1996 ispezionarono il sito indicato da Erdemović, invece di 1.200 hanno trovato i resti di 127 vittime, di cui 70 con legacci che suggerivano l’esecuzione, un 90% in meno del totale dichiarato di Erdemović.

Un’altra stranezza, se si vuole vederla come tale, è il fatto che il Tribunale dell’Aia non ha mai cercato né incriminato, né tanto meno interrogato, i colleghi di Erdemović per aver commesso il crimine, Franc Kos, Stanko Kojić, Vlastimir Golijan per nominarne alcuni, che Erdemović ha identificato nella sua prima apparizione all’Aja nel 1996 e la cui ubicazione non era un segreto.

Ad Erdemović non è mai stato chiesto chi emise l’ordine di esecuzione. Al momento, vive come testimone protetto dal Tribunale dell’Aia in un paese non identificato e con un’identità segreta.

5. Quindi, e questa è un’altra stranezza di Srebrenica della quale il pubblico è per lo più inconsapevole, ad un quarto di secolo dalla prima accusa, il tribunale è riuscito a condannare ad una pena insignificante solo un autore del presunto genocidio – Dražen Erdemović. Ogni altro imputato di Srebrenica è stato dichiarato colpevole e condannato non per aver giustiziato direttamente i prigionieri, ma in base a concetti di “responsabilità di comando” o “atto criminale congiunto”. La domanda su chi ha ordinato la liquidazione fisica dei prigionieri rimane senza ombra di dubbio fino ai giorni nostri.

6. Ugualmente significativi, la maggior parte dei verdetti del Tribunale dell’Aia indicano cifre diverse, che vanno da 4.970 a circa 8.000 come presunto numero di “vittime del genocidio”. I fatti chiave vengono sistematicamente ignorati, ad esempio che tutte quelle stime ci siano necessariamente vittime di combattimento della colonna della 28a Divisione in ritirata, come menzionato in precedenza, e le persone morte o uccise in altri modi nell’enclave di Srebrenica nei tre anni precedenti.

Pertanto, né il tribunale né altre autorità hanno stabilito fino ad oggi nemmeno il numero approssimativo di “vittime del genocidio”.

7. Il quadro forense di Srebrenica solleva ulteriore scetticismo sulla narrativa ufficiale. Abbiamo analizzato ognuno dei 3.568 rapporti autoptici e stabilito che contengono i resti di 1.923 individui sulla base dell’indicatore più affidabile, il numero di ossa del femore appaiate.

Sulla base dei rapporti autoptici del Procuratore, di quel numero 650 sono stati uccisi da schegge, mine e granate, il che esclude la possibilità di esecuzione, ma è indiscutibilmente coerente con il combattimento. Ma il punto principale è che il totale di 1.923 corpi riesumati rappresenta tutte le perdite umane nell’enclave di Srebrenica durante il conflitto, dal 1992 al 1995.

8. Quando parliamo di Srebrenica, è importante ribadire che senza il “genocidio” ipoteticamente commesso lì e l’obbligo ipocritamente affermato di “prevenire un’altra Srebrenica”, non ci sarebbe stata alcuna dottrina dell’“intervento umanitario” da difendere. Questa dottrina sta diventando sempre più la principale ragion d’essere della NATO, e la sua scusa per la distruzione dei governi sovrani in diverse parti del mondo sotto l’apparenza della benevolenza. Eppure – e questa è un’altra stranezza di Srebrenica – alla conferenza di pace di Dayton, nel novembre del 1995, quattro mesi dopo l’evento, non si parlava di “genocidio di Srebrenica” o dell’esecuzione di massa di prigionieri. Qualcuno pensa seriamente che Alija Izetbegović si sarebbe astenuto dal trarre il massimo vantaggio politico nei negoziati usando la carta Srebrenica se avesse avuto prove solide di genocidio da mostrare? Esistono, infatti, molte prove che suggeriscono che Srebrenica sia stata inizialmente un attacco sotto falsa bandiera, improvvisato per fornire copertura mediatica e politica agli enormi crimini commessi dai croati e dai loro sostenitori della NATO contro la popolazione serba della Krajina nell’Operazione Tempesta, che seguì poco dopo.

Il potenziale di Srebrenica come strumento da utilizzare per altri scopi fu colto solo gradualmente, e in seguito. Il ritornello del “genocidio” fu introdotto solo nel 1997 in una conferenza internazionale a Sarajevo, incluso il meme “8000 uomini e ragazzi”. L’uso del diritto alla protezione di Srebrenica è arrivato diversi anni dopo, intorno al periodo della Guerra in Kosovo.

Questa era una panoramica essenziale di Srebrenica. Ora torniamo a Jasenovac.

C’è un contrasto immenso tra Srebrenica e Jasenovac. Jasenovac non fu un’operazione sotto falsa bandiera, ma un sito di sterminio apertamente condotto e ideologicamente ispirato, che funzionava pubblicamente e in conformità con le leggi e gli obiettivi politici dello stato satellite croato filo-nazista. Tutte le risorse dello stato croato furono consapevolmente mobilitate e intensamente focalizzate per rendere Jasenovac il principale campo di sterminio del paese. Ciò non trascurerà, naturalmente, migliaia di villaggi serbi e altri luoghi meno noti, in cui è stato attuato l’implacabile programma di sterminio, che per sempre lorderà il nome di quella terra infelice.

C’è una domanda importante su Jasenovac alla quale finora nessuno è stato in grado di fornire una risposta coerente. Deve essere sollevata. Negli ultimi vent’anni, un vasto tesoro è stato incanalato nelle esumazioni di massa di Srebrenica per documentare in modo forense documenti gonfiati di esecuzioni di prigionieri di guerra.

Come sottolineato, nonostante i migliori sforzi e l’accesso senza ostacoli, le esumazioni di Srebrenica sono state un imbarazzante fallimento. Poco più di 1.000 resti umani sono stati scoperti in una condizione o con un tipo di ferita che suggerisce l’esecuzione, ben al di sotto della cifra obiettivo di 8.000.

Per Jasenovac abbiamo una moltitudine di relazioni indipendenti, molte delle fonti tedesche scioccate ma ostili alle vittime e amichevoli nei confronti dei perpetratori,  della grandezza e della depravazione dei crimini che vi sono stati commessi. Non sono migliaia, ma centinaia di migliaia. Quindi ecco la domanda.

Per tre anni durante il conflitto negli anni ‘90, il sito del campo principale di Jasenovac sul territorio croato è stato sotto il controllo delle forze serbe. Durante quel periodo, i serbi locali o le loro autorità non hanno minimamente tentato di riesumare nessuno dei siti di sterminio di Jasenovac e di documentare in modo forense ciò che è stato sotterrato e nascosto sotto la superficie terrestre. Perché?

Supponendo che le esigenze della guerra possano aver impedito loro di prendere questi provvedimenti ragionevoli in quel momento, c’è una domanda che segue. La guerra è finita da un quarto di secolo. Ma il campo di sterminio di Jasenovac si estendeva fino all’altra riva del Fiume Sava, che ora è completamente sotto il controllo della Repubblica Serba. Il campo di Gradina, del complesso Jasenovac, è fuori dalla portata delle autorità croate, che non possono alterare o travisare le prove che si trovano proprio sotto la superficie della terra. Ciò è tanto più importante dal momento che gli storici e i sopravvissuti sono unanimi sul fatto che la maggior parte delle uccisioni di massa associate a Jasenovac si siano effettivamente verificate sul versante di Gradina del fiume Sava.

Per due decenni le autorità della Repubblica Serba hanno tollerato esumazioni tendenziose intorno a Srebrenica, sul loro territorio, progettate per documentare un falso genocidio e addossare la responsabilità ad essa e alla sua gente. Ogni anno, con grande clamore, i funzionari della Repubblica Serba vengono a Gradina per raccogliere punti politici commemorando gli orrori di Jasenovac, ma lo fanno senza rischi, rimanendo sulla superficie della terra. Quando manderanno una squadra di esperti forensi con le pale per iniziare a scavare e per controllare e documentare cosa si nasconde sotto la superficie?

Nel mondo brutale e Neofascista di oggi, aspettarsi comportamenti rischiosi da parte dei politici non è realistico. Ma c’è l’obbligo morale di porsi la domanda: perché il governo della Repubblica Serba non ha fatto la cosa naturale di documentare la portata del vero genocidio che non molto tempo fa è stato inflitto al suo popolo e si è svolto sul suo territorio? Perché non è riuscito a fare anche il minimo per raccogliere prove tangibili a portata di mano per risolvere una volta per tutte lo sprezzante e cinico gioco dei numeri croato sulle vittime di Jasenovac?

Sono pronto a prendere la mia pala e iniziare a scavare. Chi si unirà a me?

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Traduzione di Raffaele Ucci

Fonte: The Sacher – Islanda

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