Mambrú va alla cyberguerra

Gli attacchi informatici contro l’Iran e la Russia consentono agli Stati Uniti di compiere atti di guerra senza l’approvazione del Congresso

di Rosa Miriam Elizalde*

La minaccia è passata sotto i radar e, con gli echi dell’ultimo tweet di Mambrú o di qualche modello Instagram, non c’è stato tempo perché le sirene attirassero troppo l’attenzione. Tuttavia, il fantasma che proprio adesso sta viaggiando per il mondo e che può avere un impatto su tutti i suoi abitanti, è quello della cyiberguerra.
Il Cyber Command degli Stati Uniti è nel bel mezzo del combattimento. È l’autore degli attacchi online contro i sistemi informatici della difesa iraniana, avvenuti lo stesso giorno in cui il presidente Donald Trump ha sospeso un’incursione militare su vasta scala contro il paese islamico. I pesi massimi della stampa statunitense hanno anche indicato il Cyber Command come responsabile dell’inoculazione di sensori nelle reti elettriche russe, come facevano prima con quelle venezuelane.
I rapporti del 21 e del 22 giugno, rivelati da diversi media statunitensi sull’attacco cibernetico dagli Stati Uniti all’Iran “sono significativi e non per caso”, afferma il blog specializzato in cybersicurezza Ethical Hacking Consultants. Gli Stati Uniti di solito non divulgano le loro azioni offensive nel cyberspazio: “Questa decisione degli Stati Uniti di trattare la rivelazione di un attacco informatico come un attacco fisico quando in realtà non ci sono immagini, dimostra chiaramente che questo è il caso (eccezionale)”, aggiunge.


Gli allarmi si sono scatenati non solo a Teheran e a Mosca, anche se il direttore del Servizio di Intelligence Estero della Russia, Sergei Naryshkin, è stato il primo a dichiarare: “Le conseguenze dell’ostilità degli Stati Uniti. nel cyberspazio, non regolato dalla comunità internazionale, possono essere imprevedibili ed estremamente distruttive, anche per gli aggressori”. Durante una conferenza di martedì 25 giugno all’Università di Tel Aviv, l’ex capo della US National Security Agency e del Cyber Command, Mike Rogers, ha dato per scontato che “il cyberspazio, che è stato un elemento continuo della competizione quotidiana tra gli stati, farà parte del conflitto tra nazioni”.
È noto che, dal 2009, gli Stati Uniti hanno un’unità informatica d’élite che comanda vari gruppi specializzati nella cyberguerra provenienti da ciascuno dei corpi militari dell’Esercito, con un budget annuale di oltre 3 miliardi di dollari. Ha carta bianca per svolgere “attività militari clandestine” in reti, sotto l’egida della National Defense Authorization Act del 2018 e altre prerogative della Casa Bianca che sono mantenute sotto il più stretto segreto e che, in pratica, consentono l’esecuzione di atti di guerra senza passare attraverso l’approvazione del Congresso.
Secondo il Wall Street Journal, il generale Paul Nakasone, capo del potente Cyber Command e della National Security Agency, ha articolato una visione di “partecipazione persistente” nel cyberspazio con l’intenzione di ottenere l’accesso alle reti di computer per pianificare azioni ed essere pronti “con le risposte appropriate”. Come ha rivelato l’ufficiale di Intellgence Edward Snowden, le rivelazioni di questo super-esercito sono dovute non solo ai nemici. La strategia è progettata per mantenere molteplici opzioni aperte di fonte a qualunque conflitto con un altro paese che richieda “attacchi informatici perturbatori o distruttivi”. Comprende azioni offensive contro sistemi radar e di comunicazione, oltre che di reti, tanto pericolose, o anche di più, come lanciare bombe in territorio straniero.

Per anni, le cosiddette infrastrutture critiche – energia, acqua, trasporti – sono state un campo di battaglia per gli Stati Uniti. Secondo il New York Times, le sonde da ricognizione statunitensi nei sistemi di controllo della rete elettrica della Russia hanno iniziato ad essere inoculate nel 2012. Adesso sono passate all’attacco. I software dannosi potenzialmente disabilitanti sono dentro il sistema russo in una misura e aggressività paragonabili a quelli dell’operazione Farewell, eseguita con successo dalla CIA contro l’Unione Sovietica nell’estate del 1982, che ha causato l’esplosione del gasdotto euro-siberiano. Sono riusciti a introdurre una ‘bomba logica’ – codice maligno che può essere eseguito in remoto – nel software canadese che gestiva il sistema. L’esplosione ha raggiunto un’energia di 3 chilotoni e parti delle spesse pareti del gasdotto sono state trovate a più di 80 chilometri dal sito.
Nel settembre 2010, le centrifughe del programma di arricchimento dell’uranio in Iran sono state infiltrate con Stuxnet, un Trojan sviluppato e finanziato da due governi, Israele e Stati Uniti. Un anno dopo, durante gli attacchi aerei della NATO contro la Libia, l’amministrazione Obama ha pensato di bloccare i radar di allarme rapido per nascondere la presenza di aerei da guerra e silenziare i segnali d’allarme. Il Cybercomando dispone di esperti in “spoofing”, una tecnica che sostituisce il segnale di posizionamento di un dispositivo con o senza equipaggio (drone), e permette di pilotare gli aerei a distanza con simulatori di volo e di sostituire qualsiasi segnale GPS.
Oggi si possono attaccare i sistemi di controllo da qualsiasi parte del mondo senza lasciare tracce dell’aggressore. Che chiunque possa essere accusato di essere un criminale, senza altre prove che la parola del Cybercomando, è idilliaco per la fabbrica di menzogne di John Bolton. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump e veterano delle falsità dell’Iraq, ha riconosciuto l’11 giugno scorso che gli Stati Uniti adesso stavano adottando una prospettiva ampia sui possibili obiettivi digitali “per dire alla Russia, o a qualsiasi altro paese che partecipi alle operazioni cibernetiche contro gli Stati Uniti: “Dovrai pagare il prezzo”. Tom Bossert, ex consigliere di Trump su Sicurezza Interna e Cybersicurezza, ha affilato ancora di più le unghie: “Il nostro esercito ha saputo da molto tempo che, se necessario, avremmo potuto affondare tutte le navi dell’Iran con un margine di meno di 24 ore”.
È così che funziona. La tattica è quella di prendere tutte le strade che permettano a Mambrú di abbarbicarsi altri quattro anni alla Casa Bianca, facendo persino fiorire un termine proprio della fantascienza, la cyberguerra. Che dolore, che dolore, che pena.

*Rosa Miriam Elizalde è la più nota giornalista cubana; tra i fondatori di Cubadebate, la piattaforma informativa cubana con oltre 10 milioni di contatti quotidiani nel mondo. Ultimo libro come coautrice: Chávez Nuestro.

Fonte: Medium – USA (Originariamente pubblicato su La Jornada, Messico) – Illustrazione: Aldo Cruces / Dominio Cuba

https://medium.com/dominio-cuba/mambr%C3%BA-se-va-a-la-ciberguerra-4bc980900091