Uccidere la morte

Abbiamo sempre detto e scritto che per ricordarci del Che non servono le date stabilite o le sole  commemorazioni: è sempre presente nel pensiero e nelle azioni dei progressisti

In mezzo a tanto odio della destra e con un Trump onnipresente, il ricordo di Ernesto Che Guevara dà ossigeno

di Abelardo Castillo

Señor, concede a cada cual su propia muerte.
Rilke.

(Signore, concedi a ciascuno la propria morte. Rilke.)

Le cortaron las manos y aún golpea con ellas.
Lo enterraron y hoy viene cantando con nosotros.
Neruda.

(Gli hanno tagliato le mani e ancora continua a colpire con esse.
Lo hanno sepolto e oggi canta con noi. Neruda.)

***

L’8 ottobre, a Vallegrande, hanno ucciso il Che. Lo dicono i generali boliviani, e deve essere vero. La morte, in fin dei conti, è l’aneddoto meno inaspettato della vita: la questione è non morire di morte altrui, e il guerrigliero che è morto, è morto di quella che aveva scelto. Questo, chi crede in Dio, a causa di un malinteso, lo chiama Salvazione. Noi che non siamo credenti, anche. E io lo chiamo persino non morire, abolire la morte: ucciderla.

C’è un cadavere, è vero. Tutti i giornali del mondo hanno mostrato un morto che gli assomiglia, che sicuramente è il Che. Una fotografia, soprattutto, è impressionante: è di profilo, la foto riporta freddamente delle sopracciglia che certo non sono di un altro uomo (gli davano quell’aria da giovane fauno; chi l’ha visto ridere non può aver smesso di pensare che quella fronte si contraddiceva un po’ con la sua risata, e quindi la faccia di chi sta tramando un’incomunicabile birichinata, quel gesto che i generali non gli hanno potuto cancellare), ha gli occhi aperti e la testa mezza alzata, ha le braccia nell’atteggiamento di chi sta per alzarsi, ha una pallottola nel cuore. Nessuno, tuttavia, ha accettato che quel corpo fosse suo. Nessuno, nemmeno chi lo odiava e che prima per dieci volte ne aveva miserabilmente ordito la morte, per mano di Fidel Castro, o a Santo Domingo, o per suicidio. Gli stessi generali che l’hanno ucciso, ne sono certo, hanno già cominciato a dubitarne. E penso che abbiano ragione.

Lo scriverò, cercherò di scriverlo senza cadere nella trappola delle parole, delle frasi che alludono ai morti che nonostante la morte Lo scriverò, cercherò di scriverlo senza cadere nella trappola delle parole, delle frasi che alludono ai morti che sono ancora vivi nonostante la morte. Dirò che il guerrigliero morto di Vallegrande non era il Che. Non lo era più. Hanno crivellato un corpo, lo hanno seppellito da qualche parte o hanno cremato un’argilla corruttibile. E fino a lì ha operato la morte. E da quel momento, a partire dallo spargimento delle sue ceneri, da un cadavere che non verrà mai ritrovato, il Che è diventato nuovamente libero di andare e venire per l’America, ma senza cambiare nome e senza nascondere il suo volto.
Voi non avete ucciso nessuno: avete resuscitato un uomo. E qualcosa di più. Fino all’8 ottobre si poteva dubitare che esistessero esseri capaci di lottare per gli altri, di fare una rivoluzione, di raggiungere il potere, di abbandonare tutto e di ricominciare da capo: di rinunciare alle cose temporali, che è lo stesso che negare il tempo. Scegliere e seguire un destino. Chi, con quali argomenti e soprattutto con quale esempio, può distruggere questa mistica oggi. Dico misticismo e intendo misticismo. Fino all’8 ottobre, chiunque poteva pensare: è una bugia, è Cuba che ha bisogno di inventare un fantasma per sopravvivere. Ora si sa che il Che c’è. E non proprio sepolto nella selva. C’è. Bello e invulnerabile come l’eroe di un romanzo, e freddo e lucido come un’inesorabile macchina per fare giustizia.

Non tutte le morti uccidono. I giornali, senza volere, lo sapevano. “Ha trovato la morte a Vallegrande”, hanno detto. E così è. Ci sono uomini che trovano la loro morte, quella che li merita, come se dovessero morire per togliersi la preoccupazione di essere mortali. E quello che hanno ucciso aveva un problema personale con la morte (“se non torno tra due mesi”, scrisse ai suoi genitori la prima volta che partì all’avventura, “andate a cercare la mia la testa ridotta dagli jibaros al museo di New York”, e la sfida si ripete in tutti i suoi scritti, in tutte le sue lettere fino all’ultima, già in Bolivia: “Non uscirò di qui se non con i piedi in alto”), ne aveva perso il rispetto e si rideva della morte con umorismo.

Un uomo, un poeta, si è lasciato morire della morte con cui lo stava uccidendo la spina di una rosa: lui che aveva cantato alle rose e alla morte. Un altro uomo si è fatto crocifiggere perché era giunto il momento. Chi crede che paragonare Rilke a Gesù sia un’eresia, chi immagina che quelle morti non siano anche la morte di cui parlo, farà bene a chiedersi che povera cosa abbia capito, fino ad oggi, della vita.

Dimenticavo: la morte del Che non mi addolora. Non ho voglia di commuovere, né di commuovermi, con retoriche da cimitero. Non voglio che questo editoriale sia patetico o solenne, né deve esserlo perché Ridurre la morte di Guevara all’intimità del dolore non è nel suo stile. Le ragazze argentine da parte loro hanno già pianto davanti alle telecamere quando i generali hanno mostrato il suo corpo, abbiamo già incollato la sua foto sul muro – tra Beatles e bandierine – e magari va bene così. I poeti hanno già iniziato a inviare elegie allusive alle riviste. Quindi non c’è bisogno di versare altre lacrime. Che cosa ho fatto per impedire che lo uccidessero? questo, invece, mi sembra un buon modo di affrontare le cose: una buona domanda. Evita le emozioni facili.

E con questo chiarimento, posso terminare. Da quell’assassinio, da quell’immolazione, i generali hanno paura. O dovrebbero averla. Perché una volta che un uomo così ha incontrato la morte, non ci sono più pallottole, non ci sono più ranger, né marines che valgano. Non “se ne va” più dalla vita. Non ha altro che vita. È pura, molteplice, violenta vita, che non si uccide.

(Editoriale che faceva parte della rivista El escarabajo de Oro nel novembre 1967, dedicato al Comandante Ernesto Che Guevara, dopo che era stata resa nota la notizia del suo assassinio in Bolivia).

Traduzione di Mac2

Fonte: Medium Cuba – USA

https://medium.com/dominio-cuba/