Una guerra lampo… recuperando stelle e strisce perse dagli amici, per venderle

L’ottima vignetta dell’inglese Peter Schrank

di Lito

La Turchia di Erdogan per la terza volta entra con le sue forze nel territorio siriano. Come sempre negli ultimi anni, la guerra è stata battezzata con un nome soave:“Operazione Primavera di Pace”.

Anche gli scopi, i giustificativi da mass-media sono improntati ai buoni propositi e ai “valori”. Sembra sia bastato aggiungere nella dichiarazione di belligeranza che si tratta di  “lotta al terrorismo”. Quindi Erdogan sostiene si tratti di garantire la sicurezza nazionale eliminando la “minaccia terroristica” curda dalla Siria settentrionale, vicino i propri confini.

Sfogliando analisi e ricerche sul web in merito a questo ulteriore attacco alla Siria, ho notato che la maggior parte degli esperti crede che si tratti dell’ennesimo tentativo di far decollare un nuovo Impero Ottomano, magari piccolo, ma comunque un allargamento dei confini turchi.

Pochi vedono una regia più ampia con una una guerra lampo per procura, utile a coprire dei posizionamenti ormai insostenibili, dopo ben otto anni di tormento per il popolo siriano. Mi piazzo con quei pochi.

Infatti, assemblando i rilievi di questi pochissimi commentatori, mi sono fatto un’idea, forse eretica, ma che mi copre alcune lacune. Sono propenso a credere che la Turchia abbia agito in accordo con molti altri attori in campo, per dare soluzione ad almeno tre problemi non facilmente risolvibili dalla Siria di Assad, dalla Russia di Putin e dagli Stati Uniti di Trump.

Iniziamo dall’ultimo e chiamiamolo, Primo problema: l’attuale invasione turca ha tolto dall’imbarazzo del ritiro le forze statunitensi che avevano occupato illegalmente la Siria nord-orientale nel 2016, aiutando all’epoca i loro assoldati delle Forze Democratiche Siriane (FDS), delle quali alcune bande fanno parte oggi dei gruppi militanti curdi YPG/PKK. USA e Turchia sono alleati NATO, mi pare più logico quindi un accordo preordinato, un piacere fatto agli amici. Per inciso, quando sentite nominare la sigla PKK, dimenticatevi completamente di legarla a quello che fu il movimento marxista di Abdullah Öcalan, l’ormai perduto Apo.

Secondo problema: la Siria di Assad, pur avendo di fatto vinto con il suo eroico esercito contro il tentativo di balcanizzare lo stato, non sarebbe probabilmente mai riuscita a ripulire la sua fascia a nord dallo jihadismo e dai collegamenti con le restanti forze assimilabili ai Fratelli Mussulmani tra il proprio territorio Hassaké e l’Irak. Avendo visto ora i Curdi andare a Damasco in cerca di un accordo, dopo aver fatto otto anni di guerra contro Assad, sotto diverse bandiere, mi pare di scorgere una soluzione utile alla Siria come alla Turchia, che da adesso, nella sua invasione, dovrebbe chiedere meno sangue e più pianificazione territoriale di garanzia anti-curda alle sue frontiere.

Terzo problema: la Russia era impossibilitata ad espandere prima, con gli statunitensi sul terreno, la sua protezione a Damasco, ma potrà ora prendere alcuni attori politici per mano e altri per le orecchie in modo che venga definitivamente assicurato il ritorno della Pace in Siria. Partirà da qui la ricostruzione che piacerà moltissimo ai russi e ai cinesi, ma soprattutto agli iraniani. Meno agli europei, pronti a infilarsi nel mezzo della mischia in vista di occasioni di guadagno, solo a guerre finite, perdendo però il treno a causa dell’impazienza francese, della pignoleria tedesca e dei ritardi italiani. (…è partito solo oggi – 16 ottobre 2019 – l’ultimo cannone balistico automatico Oerlikon da 25 mm, 600 colpi al minuto, dalla periferia di  Roma, dal capannone in via Affile, per la Turchia. Insomma appena in tempo per caldeggiare da domani un embargo di armi contro Erdogan...).

Lacrime politiche quindi per i wahabiti del Golfo che anche qui prendono i ceffoni con i loro soci israeliani, che questa volta come nelle vecchie vicende libanesi, sono scalzati negli investimenti ricostruttivi. Prima potevano sperare di dividere il bottino di guerra di una Siria balcanizzata e senza Assad. Fra poco saranno tutti costretti a vedere i giacimenti petroliferi al di là dell’Eufrate, quelli vicino a Dayr al-Zur, di nuovo in mano ai siriani, che li useranno come bancomat per la ricostruzione autogestita. Questi pozzi sono stati continuamente occupati da SIIL e SDF dal 2014, fornendo le vere risorse economiche per gli armamenti del cosiddetto Califfato. Quindi un ulteriore tremolio per l’instabile piedistallo di Benjamin Netanyahu, per nulla sicuro della riconferma al governo.

I mezzi di comunicazione non asserviti all’Occidente, mostrano che l’arrivo dell’EAS (Esercito Arabo Siriano) nelle aree che tornano sotto controllo dello stato, viene accolto con applausi dalla folla.

Ancora oggi sento rapporti dei media normalizzati, provenienti da queste tormentate zone e fatti da  pennivendoli che non si sono accorti della prossima fine della guerra di Siria, di cui questa “invasione” turca non è che l’epilogo, a mio avviso concordato per la buona pace di tutti, vincitori e stra-vinti. Giornalisti che faranno bene a tendere la mano per incassare al più presto le prebende per il lavoro da zerbini che hanno svolto, perché i tempi sono arrivati e proprio quelli che pomposamente vincono solo nei telegiornali si potrebbero voltare dall’altra parte sostenendo che non fanno la carità.

Il Presidente Bashar al-Assad ha affermato che vuole rivendicare ogni centimetro del territorio siriano. Un popolo e un esercito che hanno resistito per otto anni a una guerra di cambio di regime ora fallita non sono da prendere alla leggera. Anche perché l’orso che li ha protetti è ora più forte che mai.