Lava Jato: dietro le quinte dell’operazione che ha distrutto il Brasile

Lula è stato dichiarato capo di una rete di corruzione dai procuratori di Lava Jato, anche se non hanno mai trovato prove contro di lui

Nel 2016, un editoriale della rivista Time scrisse : “I brasiliani chiamano Super Moro, cantandone il nome nelle strade di Rio de Janeiro come se fosse una stella del calcio”. Ma Sergio Moro è solo un giudice, anche se giudica lo scandalo di corruzione così grande che potrebbe far cadere un Presidente, e forse cambiare la cultura della corruzione che ostacolava i progressi del suo Paese. In quell’anno, la stessa rivista nominò il giudice Sergio Moro una delle cento persone più influenti del mondo, dopo aver contribuito alla caduta del governo di Dilma Rousseff con la fuga di notizie su conversazioni private con l’ex-presidente Lula Da Silva, una modalità criticata dalla Corte Suprema di Giustizia del Brasile. Tre anni dopo, Moro rilasciava una dichiarazione in cui descrive come “criminale invasione della sua privacy” le rivelazioni di The Intercept sul pregiudizio della sua figura e dei pubblici ministeri sul caso Lava Jato*, contro Lula Da Silva e il Partito dei Lavoratori. “Per quanto riguarda il contenuto dei messaggi che menzionano, non ci sono prove di alcuna anomalia”, riferendosi a Intercept, “ignorando il gigantesco schema della corruzione rivelato dall’Operazione Lava Jato”, aveva detto in una breve dichiarazione su quella che forse è una delle rivelazioni più note degli ultimi anni.

Prima rivelazione: Moro aiutò i pubblici ministeri a indagare su Lula

Il direttore di The Intercept, Green Gleenwald, annunciava la rivelazione di una serie di conversazioni via cellulare e Telegram tra i procuratori del Lava Jato e il giudice del caso, Sergio Moro. Greenwald è noto per essere stato uno dei primi giornalisti ad aver avuto accesso alle informazioni rivelate dall’ex-analista della NSA Edward Snowden sui sistemi di sorveglianza statunitensi su Internet. Mentre The Intercept, in parallelo a Wikileaks, è diventato uno dei media principali nel ricevere le rivelazioni più significative da agenzie di sicurezza mondiali e fonti anonime, nonostante sia duramente criticato in questo momento per non aver protetto l’origine di tali fughe, esponendone le fonti a processi da parte delle agenzie di sicurezza degli Stati Uniti. Il media appartiene a una suddivisione di First Look Media fondata da Pierre Omidyar, proprietario di eBay, che ha finanziato gruppi del “cambio di regime” in Ucraina in collaborazione con l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (USAID), e mantenuto intime relazioni con l’amministrazione Obama”, secondo un rapporto del portale Pando. Tra le sue rivelazioni sul “Lava Jato”, vi sono conversazioni in cui l’ex-giudice Sergio Moro dava istruzioni al procuratore capo del Lava Jato, Deltan Dallagnol, sull’indagine contro Lula Da Silva su un presunto dipartimento oggetto di corruzione da parte della società di costruzioni OAS, in cambio della concessione di contratti relativi a Petrobras. Secondo le leggi brasiliane, un giudice non può, in alcuna circostanza, partecipare a un’indagine per non metterne a repentaglio l’imparzialità. Tuttavia, Moro nelle conversazioni con Dallagnol, avanzò ordini incoraggiandolo a cercare prove per rendere il caso più credibile, e rimproverandolo quando non vedeva progressi nell’indagine. Le prove raccolte contro Lula nelle conversazioni di Dallagnol, inoltre, apparivano deboli al punto da rimpiangere persino di non essere in grado di commetterne di più. Nonostante ciò, un contratto senza la firma di Lula e la confessione dell’ex-presidente dell’OAS, Leo Pinheiro, ottenuta sotto costrizione mentre era in carcere, furono  utilizzati da Sergio Moro per accusare Lula e rimuoverlo dalla elezione presidenziale del 2018 condannandolo per corruzione, dopo la ratifica del Tribunale Federale di Porto Alegre (TOF4) sempre diretto da giudici faziosi.

Seconda rivelazione: i pubblici ministeri di Lava Jato cospirarono apertamente per impedire a Lula d’essere intervistato

Nel 2018, Lula fu imprigionato dopo che la condanna di Sergio Moro fu ratificata in seconda istanza, nonostante la costituzione brasiliana affermi che nessun cittadino può essere imprigionato senza che la sentenza sia definitiva in tutti i gradi giudiziari del Paese. La decisione, tuttavia, era basata su una sentenza della Corte suprema (STF) del 2016 che l’autorizzava dopo che i magistrati della Lava Jato avevano chiesto di essere dotati di maggiori strumenti legali di pressione nei confronti degli imputati per ottenere accuse che consentissero d’estendere le indagini sulla corruzione relative all’inchiesta. “Lava Jato non dovrebbe seguire le leggi del Paese perché è eccezionale” affermò paradossalmente lo stesso anno il Tribunale Federale di Porto Alegre, incaricato di ratificare la sentenza contro Lula in seconda istanza. Dopo averlo tolto dalla corsa presidenziale, Lula Da Silva visse una situazione atipica quando Ricardo Lewandonski, del Tribunale federale, gli permise d’essere intervistato nell’ambito della campagna presidenziale dai quotidiani Folha Do Sao Pablo e El País de España. Il magistrato sostenne che a nessun prigioniero si può limitare il diritto alla libertà di espressione. Infine, l’allora presidente della STF, José Dias Toffoli, approvò la decisione di vietare a Lula di rilasciare interviste, come ordinato dal suo vice Luis Fux, perché potrebbe “disinformare alla vigilia delle elezioni presidenziali”. Nell’intervallo tra le due decisioni, i pubblici ministeri di Lava Jato parlarono via Telegram su diverse strategie per impedire al leader del PT di rilasciare interviste. “Un’intervista con Lula potrebbe far scegliere Fernando Haddad e dare il via al ritorno del PT al potere”, scrisse Laura Tessler, una dei procuratori di Lava Jato. In tale senso, il capo della squadra Dallagnol, disse a un confidente di “pregare” che ciò non accadesse. Quando Dias Toffoli finalmente convalidò l’ordine, sulla base di una richiesta del Partito Nuovo, i pubblici ministeri scherzarono ringraziando personalmente la forza politica dopo aver speculato sulla richiesta dalla Polizia Federale di rinviare l’intervista a dopo le elezioni. Oltre al fatto che i pubblici ministeri dovrebbero essere neutrali, la decisione di vietare a Lula di rilasciare un’intervista aveva l’obiettivo fondamentale di impedire che i suoi voti fossero trasferiti al delfino Haddad, e di beneficiare altri candidati come l’attuale presidente Jair Bolsonaro. Nella campagna, inoltre, Moro intervenne attivamente filtrando la denuncia di Antonio Palocci, ex-ministro della Giustizia di Lula, nello stesso momento in cui la moglie partecipava agli incontri di Bolsonaro. I procuratori di Lava Jato, d’altra parte, parteciparono anche alle marce anti-PT, e nei loro profili sui social network espressero le loro opinioni politiche. Come è noto, l’operazione fu la chiave per eleggere Bolsonaro, considerato outsider della politica, e un Congresso composto dalle figure di punta del movimento anti-PT emerso dal Lava Jato.

Oltre l’ovvio: lo sfondo delle rivelazioni

The Intercept annunciava che queste rivelazioni erano le prime di una serie di conversazioni, ricevute da una fonte disposta a condividerle con un media. È abbastanza evidente che tali intercettazioni provengano generalmente da squadre d’intelligence private o statali con obiettivi politici definiti. In tale contesto, pochi giorni prima Moro denunciò che un hacker era intervenuto sul suo telefono, ed ordinò, implicitamente, che il fatto fosse indagato. Le conversazioni trapelate fanno parte di una lunga serie di eventi che mettono a nudo la natura del Lava Jato, essenzialmente un’operazione guidata dal giudice Sergio Moro, formata in corsi di leadership del dipartimento di Stato e di lotta contro la corruzione ad Harvard, dalla polizia federale con collegamenti con le agenzie di sicurezza degli Stati Uniti, un esercito di pubblici ministeri dalla stessa storia di Moro e una Procura della Repubblica che, in indagini come quella di Odebrecht, collaborò con il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. A tale rete, naturalmente, si aggiunsero media e giornalisti incaricati di divulgare i benefici della lotta alla corruzione. Oltre l’ovvio, e la ripetizione a sazietà in questa tribuna, la tesi che si rafforza è che il carattere di tale operazione geopolitica era insediare in Brasile una tecnocrazia che toglieva la classe politico-imprenditoriale dalla gestione delle risorse naturali del Brasile. Con stile da operazione ibrida, Lava Jato ha reso possibile che i grandi attori globali del Brasile, come Petrobras, Odebecht, Embraer e la transnazionale JBS (tra gli altri), rinunciassero a gran parte delle loro azioni e risorse di mercato di fronte a banche e aziende degli Stati Uniti, con una politica di saccheggi lontana dal principio del libero scambio “promosso” da Washington.

A tal proposito, la nomina di Sergio Moro a ministro della Giustizia di Jair Bolsonaro, secondo Brian Winter di American Quarterly, rivista dell’influente Consiglio delle Americhe fondato da David Rockfeller, “mira ad approvare le riforme anti-corruzione per evitare battute d’arresto come Lava Jato e come successe in Italia con l’operazione Mani Pulite, per non averle blindate con leggi importanti”. Con un linguaggio semplice, il compito di Moro era consentire alla struttura transnazionale innestata dagli Stati Uniti in Brasile di perdurare oltre Lava Jato. Tuttavia, questo poco aiuta il governo Bolsonaro, immerso nello scontro interno tra le sue diverse frazioni, che coinvolgono ora anche Moro. In tale senso, lo stesso presidente varava un patto nazionale davanti la necessità di approvare una riforma pensionistica richiesta dalle banche internazionali nel quadro di una politica economica, finalizzata alla privatizzazione delle risorse e alla precarizzazione della vita dei brasiliani. In tale contesto, anche i membri della Corte Suprema Federale, così come l’Ufficio del Procuratore Generale, propongono d’indagare sulle rivelazioni e persino di invertire le decisioni di Lava Jato. Nonostante la richiesta di libertà di Lula, il Brasile raggiunse un livello di impunità tale che tutti fanno credere che Sergio Moro possa comparire con le mani insanguinate accanto a un morto coi segni della tortura, e i media potrebbero sostenere che il defunto aveva cercato l’aiuto dal nobile ex-giudice Sergio Moro. La cosa sfortunata è che il successo dell’operazione si riduce al fatto che riusciva a creare un laboratorio del controllo sociale basato sulla lotta alla corruzione, promuovendo, anche se con difficoltà, un regime d’eccezione per saccheggiare il Brasile come fosse una miniera del Potosí del 21° secolo. Lula, in tal senso, appare una palla che ognuna delle fazioni in lotta tira per vedere se con quella possono prendersi una fetta più grande del bottino.

*Lava Jato significa letteralmente “Auto Lavaggio”, nome mediatico dell’inchiesta, come “Mani Pulite” in Italia

Fonte: Misión Verdad- Venezuela

http://misionverdad.com/print/60528