Venezuela, Iran: Trump e lo Stato Profondo

Gli accadimenti in Venezuela e l’escalation della tensione fra Washington e Teheran sono stati presentati dalla stampa USA in modo fallace. Le dichiarazioni contraddittorie delle diverse parti negano ogni comprensione degli eventi. Per cui è importante approfondire l’analisi dopo aver verificato i fatti e completare il quadro con la disamina della contrapposizione fra le diverse correnti politiche dei Paesi coinvolti.

Una caricatura di John Bolton, forse il primo da sacrificare per le recenti sconfitte 

di Thierry Meyssan

La nuova situazione alla Casa Bianca e al Pentagono

Con le elezioni parlamentari del 6 novembre 2018 il presidente Donald Trump ha perso la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e il Partito Democratico ne ha dato per scontata la destituzione.

Sicuramente a Trump non può essere imputato nulla che ne giustifichi la rimozione, ma un clima isterico ha alimentato lo scontro fra le due componenti degli Stati Uniti, proprio come accadde per la guerra di secessione [1]. Da due anni i partigiani della globalizzazione economica inseguivano la pista russa e aspettavano che il procuratore Robert Mueller sancisse il preteso alto tradimento del presidente.

Mueller è noto per anteporre sempre l’interesse dello Stato federale alla verità e al diritto. Fu lui a inventarsi la pista libica per l’attentato Lockerbie, basandosi su una prova che più tardi la giustizia scozzese invalidò [2]. Sempre lui affermò che, negli attentati dell’11 settembre 2001, tre aerei furono dirottati da 19 pirati dell’aria mussulmani, nessuno dei quali però risultava nelle liste d’imbarco [3]. Si conoscevano le conclusioni della sua inchiesta sulle interferenze russe ancor prima che fosse iniziata.

Trump è stato quindi costretto a negoziare con lo Stato Profondo la propria sopravvivenza politica [4]. Non aveva scelta. L’accordo cui è sceso prevede l’attuazione del piano Rumsfeld-Cebrowski [5], a condizione però che il Paese non s’imbarchi in una grande guerra. In cambio, il procuratore Mueller ha voltato gabbana e assolto Trump da ogni accusa di tradimento [6].

Nella foga del momento, i falchi hanno imposto il rientro a Palazzo dei neo-conservatori: un gruppuscolo trotskista newyorkese, formatosi attorno all’American Jewish Committee (AJC) e reclutato da Ronald Reagan, che ha trasformato l’ideale della «Rivoluzione mondiale» nel credo dell’«imperialismo USA mondiale». Da Reagan in poi i neo-conservatori hanno fatto parte di tutte le amministrazioni, democratiche o repubblicane, secondo il colore politico del presidente al potere. Per il momento, fa eccezione l’amministrazione Trump, che tuttavia non li ha estromessi dalle agenzie riservate, la NED (National Endowment for Democracy) e l’USIP (United States Institute of Peace).

Questi sono gli antefatti che hanno indotto la segreteria di Stato ad affidare, il 25 gennaio 2019, il dossier venezuelano a Elliott Abrams, il cui nome è associato a ogni genere di menzogna di Stato e di manipolazione [7]. Abrams fu uno degli ideatori dell’operazione Iran-Contras del 1981-85 e della guerra contro l’Iraq del 2003. Immediatamente dopo la nomina, Abrams si è messo al lavoro con il Comando militare USA per l’America del Sud (SouthCom) per rovesciare il presidente Nicolás Maduro.

Ebbene, conosciamo la strategia Rumsfeld-Cebrowski – che abbiamo visto dispiegata per 15 anni nel Grande Medio Oriente – nonché la declinazione del SouthCom [8], contenuta nel documento del 23 febbraio 2018, redatto dall’ammiraglio Kurt Tidd e rivelato da Stella Calloni a maggio dell’anno scorso [9]. Quel che sta accadendo oggi ne è la flagrante applicazione.

Il fiasco venezuelano

Lo smacco dell’operazione USA, con la scoperta del tradimento del direttore del SEBIN, generale Manuel Figuera, e il colpo di Stato da lui avventatamente improvvisato il 30 aprile, prima di essere arrestato, attesta l’impreparazione del SouthCom, o meglio la sua scarsa conoscenza della società venezuelana. L’apparato di Stato USA, che ha avuto tempo un semestre, non è stato in grado di coordinare le diverse agenzie e gli uomini sul territorio. Tant’è vero che l’esercito bolivariano, pur nella disorganizzazione, era preparato a difendere il Paese.

Il riconoscimento anticipato di Washington e dei suoi alleati, nonché del Gruppo di Lima (con l’eccezione del Messico), di Juan Guaidó quale presidente del Venezuela al posto di Nicolás Maduro, pone lo schieramento USA di fronte a problemi insolubili. Già ora la Spagna si preoccupa della mancanza di interlocutori per i venezuelani ospitati e per gli spagnoli che risiedono in Venezuela. Mai, nemmeno durante una guerra, è accaduto che non fosse riconosciuta la legittimità di un presidente costituzionalmente eletto e della sua amministrazione.

In poche settimane Washington ha rubato l’essenziale dei capitali esteri venezuelani [10], esattamente come fece nel 2003 con il Tesoro iracheno, nel 2005 con il Tesoro iraniano e nel 2011 con quello libico: soldi mai recuperati dalle popolazioni, legittime proprietarie, con l’eccezione dell’Iran, che concluse l’accordo sul nucleare, JCPOA. I regimi iracheno e libico sono stati rovesciati e i successori si sono ben guardati dal ricorrere alla giustizia. Questa volta però la Repubblica Bolivariana ha tenuto duro e la situazione USA è indifendibile.

Su un piano minore sarà interessante vedere come Washington gestirà il caso dell’ambasciata venezuelana a Washington, dove dei poliziotti si sono presentati per mandar via il personale e sostituirlo con l’équipe designata da Guaidó. Gli occupanti legittimi si sono però rifiutati di andarsene e hanno resistito, benché privati di elettricità e acqua. Sono stati sostenuti da molti, fra gli altri dal pastore afro-americano Jesse Jackson, che li ha riforniti di generi alimentari. Alla fine sono stati espulsi. Ora però Washington non sa come giustificarsi.

La diversione iraniana

Fischiando la fine del match, Trump ha richiamato le truppe all’ordine: rovesciare Maduro “sì”, impegnarsi in una guerra classica “no”. Il presidente Trump è jacksoniano; il suo consigliere per la sicurezza, John Bolton, è eccezionalista [11]; Elliott Abrams, che ha fatto propaganda contro i primi due, è invece neo-conservatore: tre ideologie che altrove non esistono – tranne i neoconservatori in Israele. Con ogni evidenza un simile fronte non può durare.

Nel tentativo di respingere la responsabilità dello smacco in Venezuela, lo Stato Profondo ha immediatamente avviato una diversione contro l’Iran, per salvare così Abrams e sbarazzarsi di Bolton. La stampa USA protegge il primo e accusa il secondo [12].

Senza indugio, constatando la frattura fra Pentagono e Casa Bianca, i Democratici hanno rilanciato la pista dell’ingerenza russa, questa volta prendendosela con il figlio maggiore del presidente, Donald Jr. Il dossier iraniano differisce molto da quello venezuelano. Sin dal 2002 gli Stati Uniti hanno compiuto in Venezuela molte operazioni contro il modello bolivariano e l’aura di cui godeva in America Latina; ma soltanto dal 2018 hanno cominciato ad agire direttamente contro il popolo venezuelano.

Invece il popolo iraniano ha dovuto fronteggiare il colonialismo sin dagli inizi del XX secolo. Durante l’occupazione britannica della prima guerra mondiale, fame e malattie hanno ucciso otto milioni di iraniani [13]. Sono largamente conosciuti il rovesciamento, nel 1953, del primo ministro nazionalista Mohammad Mossadeq a opera di Stati Uniti e Regno Unito e la sua sostituzione con il generale nazista Fazlollah Zahedi, responsabile della terribile repressione della Savak. L’arresto di agenti CIA sorpresi in flagrante delitto in un settore riservato dell’ambasciata USA continua a essere presentato in Occidente come una “presa in ostaggio di diplomatici” (1979-1981), sebbene Washington non abbia mai fatto ricorso alla giustizia internazionale e due marines liberati abbiano confermato la versione iraniana. Nel 1980 gli Occidentali hanno chiesto all’Iraq di entrare in guerra contro l’Iran. Hanno venduto armi a entrambe le parti perché si uccidessero tra loro, ma, quando le sorti della guerra stavano per girare, si sono battuti a fianco degli iracheni. Una portaerei francese partecipò persino ai combattimenti senza che i francesi ne fossero informati. Una guerra che ha fatto 600 mila morti sul fronte iraniano. Nel 1988 l’esercito USA abbatté un volo commerciale di Iran Air, causando 290 vittime civili; non furono mai presentare le benché minime scuse. E cosa dire della stupidità delle pesantissime sanzioni per il nucleare? Stati Uniti e Israele affermano che Teheran prosegue il programma atomico dello scià. Ma i documenti più recenti, resi pubblici da Benjamin Netanyahu, dimostrano che si tratta di un’estrapolazione. I Guardiani della Rivoluzione stavano cercando solo di costruire un generatore di onde d’urto [14], che certo potrebbe servire a costruire una bomba, ma che di per sé non è un’arma di distruzione di massa.

È in questo contesto che l’Iran ha annunciato di non rispettare più una clausola dell’accordo sul nucleare (JCPOA), come del resto prevede lo stesso trattato qualora una delle due parti – in questo caso gli Stati Uniti – non rispetti gli obblighi. Teheran ha inoltre concesso due mesi di tempo all’Unione Europea per decidere se intende o no rispettare i propri impegni. Da ultimo, un’agenzia dell’intelligence USA ha lanciato un allarme, sostenendo che una nota della Guida Suprema, ayatollah Ali Khamenei, fa supporre siano in preparazione attentati contro diplomatici USA a Erbil e a Bagdad.

In risposta,

- 1. Washington ha inviato nel Golfo la squadra militare navale dell’USS Abraham Lincoln e ha ritirato dall’Iraq il personale diplomatico non indispensabile.
- 2. L’Arabia Saudita, che accusa Teheran di aver sabotato i propri impianti petroliferi, esorta Washington ad attaccare l’Iran. Il Bahrein ha chiesto ai propri cittadini di lasciare immediatamente Iran e Iraq. ExxonMobil ha richiamato il proprio personale dal sito iracheno di West Qurna 1.
- 3. Il comandante del CentCom, generale Kenneth McKenzie Jr, ha chiesto rinforzi.
- 4. Il New York Times ha rivelato un piano d’invasione dell’Iran con 120 mila soldati statunitensi, immediatamente smentito da Trump, che ha invitato Teheran alla discussione.

Tutto questo non è molto serio.

Contrariamente alle valutazioni della stampa:

- 1. Il rapporto dell’intelligence USA su un possibile attacco a diplomatici si fonda su una nota della Guida, Ali Khamenei. Gli analisti però concordano sulla possibilità di una diversa interpretazione del documento [15].
- 2. La squadra navale USA non è andata nel Golfo per minacciare l’Iran. Era previsto da tempo che vi si recasse per testare il sistema antimissili navali AEGIS. Una nave spagnola, la fregata Méndez Núñez, che faceva parte del trasferimento, ha rifiutato di proseguire la missione per non essere coinvolta in questo pasticcio. Non ha passato lo stretto d’Ormuz ed è rimasta in quello di Bab el Mandeb [16].
- 3. Il ritiro del personale diplomatico dall’Iraq rientra nel movimento di brusco ritiro del personale diplomatico dall’Afghanistan di marzo e aprile scorsi [17]. Questa riorganizzazione delle sedi diplomatiche non è foriera di guerra, è stata al contrario concordata con la Russia.
- 4. Tanto più che, senza il sostegno delle milizie irachene pro-Iran, gli Stati Uniti perderebbero il loro puntello in questo Paese.

Disgraziatamente, il governo iraniano rifiuta qualunque contatto con il presidente Trump e la sua amministrazione. È bene ricordare che l’allora parlamentare iraniano Hassan Rohani fu il primo contatto degli Occidentali nell’affare Iran-Contras. Rohani conosce personalmente Elliott Abrams. Mise in relazione lo Stato Profondo USA e l’ayatollah Achemi Rafsandjani che, grazie a questo traffico d’armi, divenne il miliardario più ricco d’Iran. È grazie ai servizi resi da Rohani che gli Stati Uniti favorirono la sua vittoria su Mahmoud Ahamadinejad, cui fu impedito di candidarsi alle elezioni e i cui principali collaboratori sono oggi in prigione. A torto o a ragione, Rohani ritiene che il ritiro di Trump dall’accordo sul nucleare miri a sfruttare il malcontento popolare, manifestato a dicembre 2017, per rovesciarlo. Insiste anche a ritenere che l’Unione Europea gli sia favorevole, benché il Trattato di Maastricht, nonché i successivi, impediscano a Bruxelles di sganciarsi dalla NATO. Dal suo punto di vista, risponde alla logica aver respinto per due volte l’invito di Trump a trattare e aspettare il rientro dei globalisti alla Casa Bianca.

Naturalmente, con un casting così mediocre non si può escludere che la messinscena sfugga al controllo e provochi una guerra, anche se Casa Bianca e Cremlino in realtà si parlano. Né il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, né l’omologo russo, Sergueï Lavrov, desiderano lasciarsi travolgere da questo ingranaggio.

Traduzione di: Rachele Marmetti

*Thierry Meyssan, scrittore e giornalista, è un consulente politico (in passato anche di Chávez), presidente-fondatore della Rete Voltaire. Ultimi libri in italiano: Sotto i nostri occhi. La grande menzogna della “Primavera araba”. Dall’11 settembre a Donald Trump
Fonte: Réseau Voltaire – Francia