Paura nel Bacino dei Caraibi

Nestor Cori*

 

 

 

 

Purtroppo uno dei più lucidi analisti di geopolitica, Terry Meyssan, prevede nell’immediato un periodo di preparazione da parte degli Stati Uniti per una destabilizzazione del Bacino dei Caraibi da attuare nei prossimi anni. Prevede per fortuna anche alcune variabili nel corso d’opera che potrebbero inficiare il piano.

Alle sue “vie d’uscita”, aggiungeremo le nostre. Per il momento iniziamo con il proporre l’incipit di un articolo che Meyssan ha diffuso per annunciare una valutazione svolta anche con altri suoi scritti.

“In una serie di articoli precedenti abbiamo presentato il piano del SouthCom per provocare una guerra tra latino-americani e distruggere le strutture statali degli Stati del Bacino dei Caraibi [1].

Preparare questa guerra, che nella strategia Rumsfeld-Cebrowski dovrebbe seguire i conflitti del Medio Oriente Allargato, richiede un decennio [2].

Dopo un periodo di destabilizzazione economica [3] e di preparazione militare, l’operazione vera e propria dovrebbe iniziare nei prossimi anni, con un attacco al Venezuela da parte di Brasile (sostenuto da Israele), Colombia (alleata degli Stati Uniti) e Guyana (ossia il Regno Unito). Dopo di che dovrebbe toccare a Cuba e Nicaragua: la «troika della tirannia», secondo John Bolton.

Il piano iniziale potrebbe però subire modificazioni per il riaccendersi delle ambizioni imperiali del Regno Unito [4], che potrebbe condizionare il Pentagono.” (Continua…)

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[1] « Plan to overthrow the Venezuelan Dictatorship – “Masterstroke” », Admiral Kurt W. Tidd, Voltaire Network, 23 février 2018. “Il “colpo da maestro” degli Stati Uniti contro il Venezuela”, di Stella Calloni, 13 maggio 2018; “Gli Stati Uniti preparano una guerra tra latino-americani”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 18 dicembre 2018.

[2] The Pentagon’s New Map, Thomas P. M. Barnett, Putnam Publishing Group, 2004. “Gli Stati Uniti e il loro progetto militare mondiale”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 24 agosto 2017.

[3] “Declaration of a National Emergency with Respect to Venezuela”, “Executive Order – Blocking Property and Suspending Entry of Certain Persons Contributing to the Situation in Venezuela”, by Barack Obama, Voltaire Network, 9 March 2015.

[4] “Brexit: Londra assume una nuova politica coloniale”, Rete Voltaire, 4 gennaio 2019.

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L’ipotesi di THE THINGS CHANGE è che oltre alle valutazioni riportate sia necessario tenere ben presente gli altri interessi di grosso peso sul Bacino dei Caraibi, non sottovalutando per di più la grande questione cubana, riferimento storico, morale e politico, per tutta la “resistenza latinoamericana” al colonialismo nordamericano.

Ci pare non si possa togliere dal tavolo di valutazione il grande impegno mostrato, negli ultimi tempi soprattutto, dalle emergenti potenze dell’Est del mondo. La Cina è esposta con enormi finanziamenti sulle grandi opere della Nuova via della Seta, tra le quali la realizzazione del Canale del Nicaragua, opera titanica che surclasserà entro pochi anni quello di Panama, rimodernato da poco ma di portata infinitamente più piccola di quello nascente poco sotto gli Stati Uniti. Come segnalato da poca informazione indipendente, la costruzione del Canale del Nicaragua è sotto protezione militare della Russia.**

Di fronte allo sbocco del nuovo mega canale, sul lato atlantico, nel Golfo del Messico, si trova già pronto il “Puerto Mariel” cubano. Questo sarà un nuovo grande centro logistico di tutto il Golfo, dove le marine di trasporto provenienti dalla costa latinoamericana, potranno operare attracchi e movimentazioni prima di imbroccare le due rotte possibili: attraversare l’Atlantico o incanalarsi verso il Pacifico, attendendo magari il proprio turno in terra cubana. Parliamo ad esempio di viaggi dal Venezuela di greggio diretto verso l’oceano Pacifico, con destinazione Cina, ma anche di cereali o frutta delle piantagioni argentine e brasiliane, containers, ecc..

Chiaramente il tutto con ipotesi di grande ridimensionamento della capacità marittima e portuale statunitense. Molto più chiaramente nessuno si aspetta che arrivi il via libera dello “Zio Sam” con una pacca sulla spalla a questa concorrenza. Per questo l’ipotesi di una grande offensiva, anche militare, contro il progetto d’inversione orientale dell’economia è plausibile, ma stando all’incapacità strutturale di considerare una vittoria possibile, per l’impero anglo- americano si prospetta a nostro parere anche la visione di ben più miti consigli.

Le difficoltà pratiche che osserviamo per quella che fino a pochissimo tempo fa era la maggior potenza militare e marittima del mondo, risiede nello sprofondamento delle infrastrutture interne agli USA. L’impossibilità di risanarle, pena il necessario dirottamento degli sforzi economici verso l’innovazione militare e la conservazione delle basi di controllo sparse in tutto il mondo, mostra che gli USA sono arrivati ad un punto altamente critico. Aver letteralmente perso la Siria, con il resto del Medio Oriente…., nonostante il sostegno al finto nemico che eseguiva i propri ordini, dimostra il gap militare come prima cosa.

In conclusione, a nostro avviso esiste non solo la speranza, ma anche la valutazione concreta che una forza militare che non si può basare su un “proprio grande esercito” come prima della guerra del Vietnam, ma debba sempre far conto sui contrattors (mercenari), o debba istigare militari di altri Paesi ben più piccoli, mette a nostro parere una grande ipoteca sulla capacità di scatenare guerre, soprattutto non troppo lontano da casa propria.

Certo prima di convincersi tutti, liberals e conservatori, che la pacchia è drammaticamente finita, si potrebbe arrivare a qualche colpo di testa contro il muro. Ma ormai crediamo che il muro sia stato costruito solido: naturalmente molto più solido ed efficace di quello che Trump prospetta per isolare il Rio Grande dai pezzenti del suo ex Giardino di Casa.

* Autore di THE THINGS CHANGE

** Vedi rivista “el Moncada” n°6 – Dicembre 2016, pag. 23 – http://www.italia-cuba.it/el_moncada/MONC%20Q%20DIC%202016.pdf