Ricercatore cinese offre informazioni sul pensiero strategico di Pechino

 

 

 

Xi-Jinping in visita nella provincia dello Xinjiang in una foto di Philippe Rochot

 

Pepe Escobar*

La narrativa più importante del 2019 (e degli anni a venire) continuerà a ruotare intorno alla miriade di pericolose variabili connesse all’ascesa economica della Cina, alla rinascita della deterrenza nucleare russa e al declino dell’egemonia globale degli Stati Uniti.

Due anni fa, prima dell’inizio dell’amministrazione Trump, avevo ipotizzato come questo gioco delle ombre potesse svilupparsi nel Nuovo Grande Gioco in Eurasia.

Ora il Nuovo Gioco ha cambiato marcia; sono gli Stati Uniti contro la partnership strategica russo-cinese.

Baruffe diplomatiche, ritiri tattici, duelli psicologici, economici, cibernetici e persino nello spazio cosmico, tutti avvolti nell’isteria mediatica, continueranno a dominare il ciclo delle notizie. Preparatevi a critiche di tutti i generi sulla Cina autoritaria e alla sua “maligna” associazione con lo spauracchio russo “illiberale”, deciso a spazzare via i confini dell’Europa e a “sconvolgere” il Medio Oriente.

Menti relativamente valide, come lo studioso di scienze politiche Joseph Nye, continueranno a lamentarsi per il fatto che il sole tramonta sull’”ordine” liberale occidentale, senza rendersi conto che ciò che era stato in grado di “rendere sicuro e stabile il mondo negli ultimi settant’anni” non si è trasformato in un “consenso forte … in grado di difendere, approfondire ed estendere questo sistema.” Il Sud Globale, nella sua totalità, preferisce dissentire, sostenendo che l’“ordine” attuale è una creazione artificiosa, che soddisfa praticamente solo gli interessi degli Stati Uniti.

Aspettatevi che gli eccezionalisti operino in modo superaccondiscendente, esortando “alleati” in qualche modo riluttanti a dare una mano per “vincolare,” se non contenere, la Cina e per “incanalare” (come se potessero controllarla) la crescente influenza internazionale di Pechino.

Canalizzare” la Cina per farle trovare il posto “giusto” in un nuovo ordine mondiale è un lavoro a tempo pieno. Che cosa ne pensa davvero l’élite intellettuale cinese di tutto questo?

Mai combattere su due fronti

Una tabella di marcia unica nel suo genere potrebbe darcela Zhang Wenmu, esperto di strategia per la sicurezza nazionale e professore presso il Centro di Studi Strategici dell’Università di Aeronautica e Astronautica di Pechino, che ha scritto un saggio pubblicato nell’agosto 2017 sulla rivista cinese Taipingyan Xuebao (Il giornale del Pacifico), che è stato recentemente tradotto anche in italiano dalla rivista geopolitica Limes di Roma.

La “geopolitica” può anche essere un’invenzione anglosassone, probabilmente da parte di Sir Halford Mackinder, ma è stata studiata in Cina per secoli come, per esempio, “vantaggio geografico” (xingsheng) o “geografia storica” ​​(lishi dili).

Wenmu ci introduce al concetto di geopolitica come filosofia sulla punta di un coltello, ma questa riguarda sopratutto la filosofia, non il coltello. Se vogliamo usare il coltello, dobbiamo usare la filosofia per conoscere i limiti della nostra forza. Chiamatelo l’equivalente cinese col martello del filosofeggiare di Nietzsche.

Come analista geopolitico, Wenmu non può non ricordarci che il marchio di fabbrica dell’Impero Romano o Britannico, “dividi e governa,” è una tattica ben nota in Cina. Ad esempio, all’inizio del 1972, il Presidente Mao si era detto pronto ad accogliere Richard Nixon. Più tardi, a luglio, Mao aveva reso noto il vero motivo: “Bisogna trarre profitto dal conflitto tra due poteri, questa è la nostra politica. Ma dobbiamo avvicinarci ad uno di essi e non combattere su due fronti.” Si stava riferendo ai contrasti fra la Cina e l’Unione Sovietica.

Wenmu si diverte veramente a vedere come la geopolitica occidentale di solito interpreti le cose in modo sbagliato. Sottolinea come Halford Mackinder, l’Inglese considerato come uno dei fondatori della geostrategia, “avesse contribuito alla Seconda Guerra Mondiale e al successivo declino dell’Impero Britannico”, facendo notare che Mackinder era morto solo cinque mesi prima dello scisma fra l’India e il Pakistan nel 1947.

Distrugge la teoria di George Kennan sulla Guerra Fredda, “che deriva direttamente dalle teorie di Mackinder”, e ci fa vedere come  avesse portato gli Stati Uniti a combattere in Corea e in Vietnam, “accelerando il loro declino“.

Persino Zbigniew Brzezinski, l’ex Consigliere alla Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, “aveva visto il declino dell’Impero Americano”, subito prima della sua morte, avvenuta di recente, nel maggio 2017. “In quel momento, Cina e Russia avevano dato vita ad una collaborazione strategica sempre più stretta ed invincibile”. Wenmu è positivamente compiaciuto. “Se Brzezinski fosse ancora vivo, penso che si renderebbe conto della ‘grande sconfitta’ del mondo occidentale, l’opposto di quello che aveva teorizzato.

Perchè il Tibet è importante

La geopolitica cinese, prevedibilmente, è attenta alle tensioni fra le potenze marittime e quelle terrestri. Wenmu nota come nell’Oceano Indiano l’Impero Britannico abbia potuto esercitare una maggiore potenza navale rispetto agli Americani “perché proveniva da un continente analogo [oceanico]. E, in quanto dominatore dei mari, il Regno Unito rappresentava anche una minaccia per l’Impero Russo, che [viceversa] era una potenza terrestre.

Wenmu cita anche “L’influenza del potere marittimo sulla storia” di Alfred Mahan, sulle reciproche influenze fra il controllo dei mari e quello delle aree continentali. Ma, poi aggiunge: “Mahan non ha analizzato questa relazione a livello globale … Sulla base delle priorità degli Stati Uniti, si è concentrato soprattutto su mari lontani”.

Wenmu sottolinea in modo particolare come l’Oceano Pacifico sia il “passaggio obbligato della Via Marittima della Seta”. Anche se la Cina “ha sviluppato la propria capacità navale molto più tardi, gode di un vantaggio geografico rispetto al Regno Unito e agli Stati Uniti.” E, con questo, ci porta alla questione essenziale del Tibet.

Uno dei punti chiave di Wenmu è il modo in cui “l’altopiano tibetano consente alla Repubblica Popolare l’accesso alle risorse, rispettivamente dell’Oceano Pacifico ad est e dell’Oceano Indiano ad ovest. Se dall’altopiano guardiamo alla base americana di Diego Garcia [al centro dell’Oceano Indiano] non possiamo avere dubbi sul naturale vantaggio della geopolitica cinese”. L’implicazione è che il Regno Unito e gli Stati Uniti devono “consumare un una grande quantità di risorse per attraversare gli oceani e colonizzare una catena di isole”.

Wenmu dimostra come la geografia dell’altopiano tibetano “leghi in modo naturale la regione tibetana alla potenza dominante nelle pianure centrali cinesi,” mentre “non la collega ai paesi del subcontinente asiatico meridionale.” Di conseguenza, il Tibet dovrebbe essere considerato come una “parte naturale della Cina”.

La Cina, che è sostenuta dalla placca continentale, “la controlla per tutta la lunghezza delle sue coste” e “possiede la tecnologia per attacchi missilistici a medio e lungo raggio“, che le garantiscono virtualmente una “grande capacità di reazione in entrambi gli oceani,” con una “forza navale relativamente potente.” Ed è così che la Cina, secondo Wenmu, è in grado di compensare, “fino ad un certo punto“, il divario tecnologico con l’Occidente.

Il punto più controverso di Wenmu è che “il vantaggio di cui solo la Cina gode, dell’essere collegata con i mercati dei due oceani, fa crollare il mito della potenza navale occidentale dell’era contemporanea e introduce una visione rivoluzionaria; la Repubblica Popolare è una grande nazione che possiede, per sua natura, la qualifica di potenza navale.” Dobbiamo pensare che “lo sviluppo industriale aveva permesso all’Occidente di navigare verso l’Oceano Indiano” mentre la Cina “ci è arrivata a piedi.”

Prendere Taiwan

Il presidente Obama era ansioso di promuovere ad ogni occasione lo status degli Stati Uniti come quello di “nazione dell’Oceano Pacifico”. Immaginate gli Stati Uniti di fronte alla descrizione di Wenmu: “Il Pacifico Occidentale è legato agli interessi nazionali della Repubblica Popolare ed è il punto di partenza della Nuova via Marittima della Seta.” In effetti, il Presidente Mao ne aveva parlato nel lontano 1959: “Un giorno, non importa quando, gli Stati Uniti dovranno ritirarsi dal resto del mondo e dovranno abbandonare il Pacifico Occidentale.”

 

Estrapolando da Mao, Wenmu teorizza  un “Mar Cinese del Pacifico Occidentale” che unisce il Mar Cinese Meridionale, il Mar Cinese Orientale e il Mar Giallo. “Possiamo usare la formula ‘zona meridionale del Mar Cinese del Pacifico Occidentale’ per descrivere quella parte che rientra nella sovranità cinese.”

Questo suggerisce una combinazione di forze cinesi nel Mar Cinese Meridionale, nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Giallo sotto un unico comando navale del Pacifico Occidentale.

È facile vedere dove sta puntando tutto questo: alla riunificazione con Taiwan.

In un sistema del genere, come delineato da Wenmu, Taiwan “ritornerebbe alla madrepatria“, la sovranità cinese lungo tutta la sua linea costiera “sarebbe legittimata” e, allo stesso tempo, questa linea “non verrebbe estesa in modo eccessivo.”

L’obbiettivo principale di Pechino è quello di spostare, a tutti gli effetti, la “linea di controllo cinese” ad est di Taiwan. Questo rispecchia il discorso del presidente Xi Jinping dell’inizio di questa settimana, in cui faceva riferimento a Taiwan, in senso pratico, come al ‘grande premio’.  Wenmu lo vede come un ‘ambiente’ “in cui i sottomarini nucleari cinesi sono in grado di contrattaccare, dove si possono costruire portaerei e da cui possono essere esportati, in modo efficace, i prodotti realizzati nella Cina continentale.”

Il baricentro dell’Asia

Uno degli argomenti più affascinanti nel saggio di Wenmu è quando mostra come esista sempre una proporzione naturale, una sorta di ‘rapporto aureo o divino’, fra le tre potenze strategiche in Eurasia: l’Europa, l’Asia Centrale e la Cina.

Fa poi un veloce rassegna dell’ascesa e della caduta degli imperi, con “la storia che mostra come nella parte principale del continente, fra i 30 e i 60 gradi di latitudine nord, ci sia spazio solo per 2,5 forze strategiche.” Questo sta a significare che uno dei tre spazi principali deve ritrovarsi sempre frammentato.

Nei tempi moderni non è quasi mai successo che una delle tre potenze “riuscisse a espandersi fino ad un rapporto di 1,5.” Anticamente, solo l’Impero Tang e l’Impero Mongolo si erano avvicinati [a quel rapporto]. L’Impero Britannico, la Russia zarista e l’Unione Sovietica “avevano invaso l’Afghanistan ed erano penetrati nell’Asia centrale, ma il successo, all’epoca, era stato di breve durata.”

Tutto questo apre la strada alla tesi principale di Wenmu: “La legge della sezione aurea come base del potere strategico in Eurasia ci aiuta a capire le cause dell’alternanza fra l’ascesa e il declino delle potenze nel continente [asiatico] e a riconoscere i limiti dell’espansione della potenza cinese nell’Asia Centrale. Comprendere ciò è la premessa per una diplomazia matura ed efficace.”

Anche se tutto questo non può essere considerato seriamente come una roadmap “dell’aggressione cinese,” Wenmu non può fare a meno di sferrare un altro attacco al prode geopolitico occidentale Mackinder: “Con la sua geniale immaginazione, Mackinder aveva formulato la teoria sbagliata del ‘perno geografico’ perché non aveva preso in considerazione questa legge.”

In poche parole, la Cina è la chiave per l’equilibrio dell’Eurasia. “In Europa, la frammentazione origina dal centro, in Asia, è tutta intorno alla Cina. Questo mostra come la Cina sia il baricentro naturale dell’Asia.”

Il lato nascosto della Luna

È facile immaginare che il saggio di Wenmu possa provocare reazioni isteriche da parte dei sostenitori della strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, che considera la Cina, insieme alla Russia, una pericolosa “potenza revisionista.”

I sinofobi professionisti (portatori di sentimenti anticinesi-ndt.) stanno persino diffondendo l’idea che una “Cina in fallimento” potrebbe alla fine “scagliarsi” contro gli Stati Uniti. Questo è un travisamento di ciò che il Contrammiraglio Luo Yuan aveva detto il mese scorso a Shenzhen: “Ora abbiamo missili Dong Feng-21D e Dong Feng-26. Questi hanno il compito di affondare le portaerei. Attacchiamo e affondiamo una delle loro portaerei. Lasciamo che subiscano 5.000 vittime. Attacchiamo e affondiamo due portaerei, 10.000 vittime. Vedremo se gli Stati Uniti avranno paura o no.”

Questa è una constatazione di fatto, non una minaccia. Il Pentagono sa tutto quello che c’è da sapere sul pericolo rappresentato dai missili anti-portaerei.

Pechino non si fermerà ai missili anti-portaerei, alla ridenominazione del Pacifico Occidentale e alla riunificazione con Taiwan. Sta progettando la prima colonia di intelligenza artificiale (AI) sulla Terra, una base abissale per operazioni sottomarine robotizzate di scienza e difesa subacquea nel Mar Cinese Meridionale.

L’atterraggio della sonda lunare Chang’e 4 sulla faccia nascosta della Luna potrebbe anche essere interpretato come l’estensione massima della Belt and Road Initiative (BRI) [la Nuova Via della Seta].

Questi sono tutti pezzi di un enorme puzzle destinato a rafforzare l’immagine di una nuova, sinocentrica, mappa del mondo, già in uso nella marina cinese e pubblicata nel 2013, non a caso l’anno in cui le Nuove Vie della Seta erano state presentate ad Astana e  Jakarta.

Wenmu conclude il suo saggio sottolineando come “la geopolitica cinese debba prendere le distanze dall’idea che ‘non si può aprire bocca senza menzionare la Grecia antica’.” Questo è un riferimento ad un famoso discorso di Mao del maggio 1941, in cui il Presidente aveva criticato alcuni marxisti-leninisti che davano più importanza alla storiografia occidentale (di cui la Grecia antica è il simbolo estremo) che non a quella cinese.

Trappola di Tucidide? Quale trappola? [1]

 http://www.atimes.com/article/chinese-scholar-offers-insight-into-beijings-strategic-mindset/

[1] A tale domanda ha provato a rispondere Graham T. Allison, professore alla “John F. Kennedy School of Government di Harvard”, nel suo testo Destined for War, pubblicato nel 2017. Allison ha coniato l’espressione “trappola di Tucidide” per definire i rischi che possono essere causati dalla rivalità tra due Paesi in forte competizione tra loro. Nella sua opera sulla Guerra del  Peloponneso, Tucidide scriveva: “Ciò che rese la guerra inevitabile fu l’ascesa della potenza di Atene e la paura che questa causò a Sparta”. Un paragone tra il conflitto che devastò la Grecia classica con quello sulla continuità della Guerra Fredda. Allison cita vari esempi di rivalità simili a quella attuale sino-americana, molti dei quali si conclusero con un diretto conflitto militare. Inevitabile è il paragone con la forte contrapposizione che coinvolse Germania e Regno Unito prima della Grande Guerra: i due Paesi, tanto economicamente interdipendenti quanto rivali, si lanciarono nella corsa al riarmo navale motivata dalla volontà tedesca di sfidare l’egemonia planetaria della flotta britannica, fatto che provoca paragoni con l’attuale situazione che vede la Cina intenta a ristrutturare il suo apparato militare partendo proprio dalla flotta navale.(ndt.)

* Uno degli autori più apprezzati di Asia Times. Reporter e ricercatore noto a livello mondiale.

Traduzione di Things Change