Le Colombe con gli artigli fanno il nido nella Casa Bianca per deporre uova d’Aquila

Come sempre nella giungla politica, il più forte vince. Le Colombe con gli artigli avevano previsto e forse concordato tutto con i nemici, i Falchi. Impero contro Stato.

Risultato dell’annoso percorso che ha innescato la guerra finale: dopo le dimissioni del Presidente con la stagista sotto la scrivania, dopo il Presidente (del periodo) Nero, dopo la sconfitta della ex First Lady cornificata… e passati gli ultimi quattro anni ad affilare gli artigli, le Colombe hanno di nuovo fatto il nido nella Casa Bianca.

La struttura si chiama così perché a ogni tornata viene rinfrescata per nascondere gli schizzi rossi -non di vernice- che colano sulle pareti dal resto del mondo. Ma in seguito alla pitturata, alle pulizie e una volta aspirati gli ultimi capelli arancioni…?

Beh, in seguito al primo step con il Biden ormai consunto, l’Amministrazione si presenterà colored, ripetendo la commedia, dato che si era già camuffata dietro il colore della pelle di un Presidente mulatto, figlio di una ex agente della CIA operante in Indonesia, il più guerrafondaio tra quelli che hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace, con ben sette interventi militari. Dobbiamo anticipare che cosa si troverà in agenda la nuova Amministrazione pre-Kamala Harris? Va bene.

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Il più volte citato su questo sito, Dmitry Orlov, ha rilasciato un nuovo articolo sul suo Blog che non ci interessa riportare per intero visto che va ad arenarsi su un tema che non riguarda le nostre valutazioni attuali sul caso “Amerika”. Ma l’incipit, dove specifica che non entra poi in merito, è gustoso e riferito proprio al contesto caldo che ci interessa. Eccolo:

Poiché la situazione politica negli Stati Uniti è piuttosto confusa al momento, sarebbe sciocco aggiungere alla già ridicolmente enorme pila di commenti politici un altro mattone di sciocchezze politiche. Per cominciare, avrei problemi a posare un simile mattone poiché non mi interessa veramente, profondamente, sinceramente. Oltre un decennio fa ho predetto con successo la traiettoria del collasso che gli Stati Uniti avrebbero seguito e ora posso sedermi in una contentezza simile a Buddha, ripetendo il mio mantra politico preferito: “Gli Stati Uniti non sono una democrazia e non importa chi sia il presidente”. I recenti sviluppi hanno costretto la maggior parte delle forme di vita senzienti a concordare con me sul fatto che gli Stati Uniti non sono una democrazia; ed è una questione di tempo prima che anche loro ammettano che non importa chi è il presidente.

Il percorso da seguire per gli Stati Uniti è perfettamente chiaro: non ce n’è uno. Almeno non c’è un percorso in avanti per gli Stati Uniti come erano stati concepiti e costituiti fino al presente, ma escluso. Naturalmente, qualcosa o altro continuerà ad accadere, non importa quanto brutto e triste. Ad esempio, uno sviluppo praticabile, anche se particolarmente sgradevole, sarebbe il ripristino dell’istituto della schiavitù, sotto forma di lavoro carcerario. Il sistema è già in atto; ha solo bisogno di essere ingrandito. Un modo tradizionale per ampliarlo, perfezionato durante la Grande Depressione, è espropriare milioni di persone, quindi arrestarle e imprigionarle per vagabondaggio.

Avrò di più da dire su questo in seguito, ma… […]”

Come è possibile intuire dalle affermazioni di Orlov, siamo solo ad una fase del percorso del collasso statunitense e per osmosi di quello anglo-americano nel suo insieme. Forse come ha sottolineato Pepe Escobar recentemente, siamo in una fase determinante e direttamente conseguenziale a quella dell’11 settembre 2001. Probabilmente in una di quelle che sono da preludio a un grande cambiamento di paradigma per tutto l’occidente, proprio come la False Flag delle Torri Gemelle, che  era entrata nel mantra generalista del “NULLA SARA’ PIU’ COME PRIMA…”.

Nel peggiore dei casi si arriverà a scontri diretti, se non tra l’Impero dell’Aquila contro l’Orso & il Panda, forse contro i propri stessi partners o ex tali.

Infatti, vi ricordiamo un sunto di nostri recenti articoli pubblicati.

-La Germania e la Danimarca non hanno ubbidito al diktat anti “Nord Stream 2” per le forniture di gas dalla Russia, e la U.E. non ha aderito all’interruzione totale dei rapporti economici con l’Iran.

-La Turchia, ha acquistato bypassando il veto NATO di cui è membro, gli S-400, i sistemi antimissilistici di ultima generazione russi.

-Il Giappone non ha fatto la voce abbastanza grossa con la Cina, come desiderato dagli Stati Uniti, nella gestione delle rotte marittime del Mar Cinese Meridionale e non ha impugnato l’indebolimento dell’alleanza (Stati Uniti, Giappone, Australia e India) all’ultimo Vertice QUAD. Anzi, la nuova Amministrazione USA, si ritroverà ora il Giappone nella “Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), cioè la più grande area di libero scambio al mondo, che include ben 15 Paesi, tra cui il maggiore promotore, guarda caso la Cina.

Insomma la fase attuale del collasso imperiale vede quelli che hanno paura di lasciare per primi l’alleanza perché sanno di avere le bombe atomiche in casa, e quelli che temono di dover salire sul treno orientale trovando posto solo sulle carrozze di coda, perché altri sono saliti prima.

Lito