Alle origini della disputa politica in America Latina

Un breve resoconto storico delle contrapposizioni tra progressismo e conservazione che verte sul Paese che diede i natali al Che. Anche l’Italia è sullo sfondo
La disputa politica in America Latina: l’odio si diffuse per preservare i privilegi della destra di fronte alla resistenza delle forze progressiste
di Juan J.Paz Miño C.

I conflitti politici tra liberali e conservatori, che hanno caratterizzato il primo secolo di vita repubblicana in America Latina, non erano immuni all’intolleranza e persino alla guerra civile. A metà del XIX secolo in Argentina e Messico furono attuate le prime riforme liberali; in Colombia, d’altra parte, il bipartitismo, che non escludeva la lotta armata nei suoi scontri, si estese fino al XX secolo; e in Ecuador il trionfo liberale fu possibile solo dalla rivoluzione armata, nel 1895.

La violenza, la persecuzione degli oppositori, l’arbitrarietà procedurale, la prigione e l’imposizione di governi autoritari o dittature, hanno fatto parte delle controversie politiche latinoamericane del 20° secolo anche dopo che il vecchio bipartitismo era stato superato e al suo posto la pluralità di partiti politici sorse e furono compiuti progressi significativi nella democrazia rappresentativa.

Ma l’avanzata delle forze sociali e politiche in grado di mettere seriamente in discussione i poteri tradizionali era sempre vista come il più grande pericolo. La Colombia offre uno degli esempi storici più significativi: l’esplosione sociale e il sostegno popolare a Jorge Eliécer Gaitán (1903-1948) sembravano un rischio per il potere. La soluzione era duplice: non solo l’omicidio del leader carismatico, ma la creazione, un decennio più tardi, del patto politico oligopolistico “Fronte nazionale”, con il quale conservatori e liberali si sarebbero alternati al governo per i successivi 16 anni (1958-1974). Tuttavia, ciò ha escluso la possibilità di accedere al potere da parte di altri settori e in particolare della sinistra, il che spiega il peggioramento della violenza nel paese, che dagli anni ’60 ha subito l’inarrestabile rafforzamento di diversi gruppi di guerriglia.

La guerra fredda, installata in America Latina dal trionfo della Rivoluzione cubana (1959), servì a emarginare qualsiasi tentativo di impadronirsi del potere da parte delle forze di sinistra e i governi terroristici militari inaugurati da Augusto Pinochet in Cile nel 1973 (in Brasile ci furono dittature militari dal 1964), ispirati dall’irrazionale anticomunismo dell’epoca, si misero in cammino per sterminare il marxismo e liquidare tutto il resto, per il quale disprezzavano la vita, privilegiando la tortura, l’omicidio, le sparizioni e le violazioni dei diritti umani, che sono diventati fenomeni senza precedenti nella storia contemporanea della regione.

A proposito, nei paesi in cui tali regimi non erano stabiliti, i diritti commerciali e politici, di solito privatamente, ma anche pubblicamente, sostenevano che “un Pinochet” sarebbe stato necessario nei loro rispettivi paesi (in Ecuador quell’ideale era parte di conversazioni e incontri quotidiani), per porre fine a così tanto “comunismo”, che per quei settori rappresentava comunemente i lavoratori e le lotte contadine, le mobilitazioni delle classi medie, le richieste di lavoro e diritti sociali, la domanda di miglioramenti in condizioni di vita e anche la protezione dell’ambiente.

Ma è anche possibile trovare momenti storici in cui l’odio politico si manifesta senza controllo. L’esempio contemporaneo per l’America Latina si trova in Argentina e ebbe come principale protagonista Juan Domingo Perón (1895-1974), che ricoprì la presidenza del paese tra il 1946-1952 e il 1952-1955 (notevoli amministrazioni, perché il suo terzo mandato non aveva lo stesso valore di presidenza, tra il 1973-1974) (si trattava di fatto di ricomposizione nazionale dopo la feroce dittatura – ndt.).

Perón rafforzò un’economia sociale, un potere con una base popolare e un orientamento nazionalista. Aveva ampliato i servizi pubblici, la protezione dei lavoratori e il sindacalismo, le riforme per migliorare la qualità della vita delle masse, l’industrializzazione, l’influenza di grandi interessi economici tradizionali. Il ruolo di Eva Duarte, “Evita”, era stato essenziale nel sostenere il lavoro sociale. Il “populismo” ha dimostrato le sue potenzialità per superare il regime oligarchico e costruire un modello comunque capitalista, ma regolato dallo stato. Ma il peronismo ha meritato innumerevoli studi e controversie persistono tra gli stessi accademici, a seconda che si accentui la visione dell’indubbio progresso sociale o la presunta forma autoritaria attribuita al suo governo.

In ogni caso, le élite di potere (per usare un concetto di Charles Wright Mills) non perdonarono il regime di Perón, per la rottura storica che rappresentava. Nel settembre del 1955 un colpo di stato rovesciò Perón e installò la dittatura del generale Eugenio Aramburu (1955-1958). (1)

Fu definito “Rivoluzione liberatrice”; ma, nello stesso tempo in cui si rivolse a favore dell’oligarchia liberale e degli interessi del grande capitale interno e dei nordamericani, intervenne nei sindacati e nella Confederazione generale dei lavoratori, e continuò a mettere in atto la “deperonizzazione” della società, che includeva esecuzioni e prigionia. Il 5 marzo 1956, venne emanato il decreto legge 4161 (complemento di un altro, 3855), che dichiarò fuori legge il peronismo(2), con disposizioni di portata insolita, come vietare l’uso del nome del generale Perón, l’uso di fotografie, ritratti o sculture relative a funzionari peronisti o ai loro parenti (opere d’arte e statue vennero distrutte), l’uso di altre formule correlate come “peronismo”, “peronista”, “giustizialismo” o “terza posizione” (da non confondere assolutamente con la stessa sigla usata da neofascisti italiani-ndt.),“Marcia dei ragazzi peronisti” o anche “Evita Capitana” . Le stesse forze armate furono epurate (Perón veniva dall’Eserecito, come avrebbe fatto Chávez decenni dopo in Venezuela-ndt.).

Era impossibile pensare alla partecipazione elettorale dei peronisti, dal momento che era un fronte bloccato. Si arrivò al punto di rapire il cadavere (mummificato, dopo il funerale alla Camera del Lavoro dei sindacati-ndt.) di Evita, che venne portata da un luogo segreto all’altro, fino alla sua deposizione finale in un cimitero di Milano, in Italia e sotto falso nome (Cimitero di Musocco – Maria Maggi vedova De Magistris-ndt.), dove rimase per molto tempo. Il divieto ufficiale del peronismo è durato fino al 1964.

La politica commerciale, anti-manodopera e anti-sociale ha causato la “resistenza peronista”, che ha espresso molteplici settori, con azioni popolari, scioperi, boicottaggio produttivo, dimostrazioni e anche azioni clandestine e altri attacchi, che hanno preceduto la formazione di gruppi di guerriglia. Paradossalmente, nonostante ciò che i suoi nemici credevano, il peronismo divenne una forza politica e storica in Argentina, che è rimasta valida fino ad oggi, poiché era la base di supporto per il Kirchnerismo e, senza dubbio, per la vittoria presidenziale di Alberto Fernández l’anno scorso.

Questa, che sembra una storia del passato, ha elementi sufficienti per confrontarsi con il presente, perché la crudeltà e la persecuzione politica continuano a caratterizzare la vita latinoamericana, nonostante i progressi della modernizzazione. L’esempio più significativo è in Brasile. Gli studi condotti in America Latina non sono stati in grado di evitare il fatto che la legge, la collusione dei media più influenti, la legalizzazione forzata e selettiva, il desiderio di smantellare ciò che è stato costruito in termini di benefici sociali, il desiderio di recuperare il percorso di sviluppo neoliberista-commerciale, al fine di garantire il dominio dell’élite in termini economici tradizionali, sono stati attentamente usati per perseguitare Luiz Inácio Lula da Silva (presidente tra il 2003-2010), per smantellare i suoi successi e vietarne a lungo la sua partecipazione politica.

L’Argentina del passato o il Brasile nella storia più recente sono il ​​punto di riferimento per il percorso della politica dell’odio contro l’altro pensiero, per diventare un modello, investendo leggi e diritti. Ma le condizioni storiche non sono le stesse dell’era di Aramburu. Quindi non è più possibile nascondere politiche di vendetta selettiva al mondo, tanto meno alle popolazioni nazionali.

Né è più possibile aggirare le istituzioni nazionali e internazionali senza conseguenze legali e politiche. Come ha dimostrato il peronismo, le persone forgiano ideali che i colpi non riescono a distruggere.

Note del traduttore:

(1) Aramburu fu assassinato il 1º giugno 1970, due giorni dopo essere stato rapito dal gruppo filo peronista Montoneros, da quel momento clandestino e operativo contro la dittatura argentina.

(2) La Chiesa Cattolica si prestò al gioco, per motivi non ancora del tutto chiariti dagli storici, è scomunicò il Presidente argentino Perón.

Fonte: Cronicón – Argentina

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